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Lettera del 2 novembre 1918

Vicenza, 2 novembre 1918

Carissimi,

 Sono venuto quest’oggi a Vicenza a ritirarvi una macchina che era qui in riparazione. Non essendo pronta che domani rimarrò qui stanotte e domani ripartirò pel fronte. Nei giorni scorsi la divisione di cui faccio parte à combattuto aspramente ma è riuscita ad avanzare di alcune decine di chilometri. Ora da comunicati si apprende che il nemico è in fuga disordinata. Il materiale che abbandona è incalcolabile.

Ho visto alcuni borghesi che erano rimasti nelle terre invase. Sono in uno stato compassionevole per le sofferenze e soprattutto per la fame patita. Dall’anno scorso gli Austriaci hanno requisito tutto il requisibile. Un vecchietto non avendo altro per vestirsi aveva indossato dei calzoni corti… forse quelli di qualche suo figlio! Le donne poi hanno avuto ogni sorta di maltrattamenti! Accolgono i soldati con scene di indicibile entusiasmo.

Anche nei soldati l’entusiasmo è grandissimo. Ho visto stamattina soldati del ‘900 che andavano verso il fronte cantando con allegria frenetica. Ben sanno che questo, essendo ben dato, è certamente l’ultimo e definitivo colpo. È convinzione generale, ed i fatti dan forza alla convinzione, che nel ’19 non un colpo di cannone sarà sparato. Quel sogno che il papà fece nel 1916 pare proprio si avveri! Non s’era egli sognato allora che la pace sarebbe stata conclusa nel 1918?

Io ho sempre una salute ottimissima. Sono ancora come nel febbraio scorso. Gli abiti borghesi non mi andrebbero certo più bene. Nonostante gli oramai innumerevoli cambiamenti di posto nei quali spesse volte noi dobbiamo pensare al nostro nutrimento, denari non me ne occorrono perciò non mandatemi nulla senza che ve lo chieda.

Saluti cari. Antonio